TRIBUNALE DI FIRENZE Il Tribunale di Firenze, Sezione 1 civile, in composizione monocratica in persona del Giudice dott. Domenico Paparo, ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 17867/12 R.G. promossa da Ghetti Paolo, rappresentato e difeso dagli avv. Ottaviano Colzi e Alexey Colzi ed elettivamente domiciliato presso il loro studio in Firenze Attore Contro Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso per legge dell'Avvocatura distrettuale di Firenze ed elettivamente domiciliato presso il suoi uffici in Firenze Convenuto 1. Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. Ghetti Paolo esponeva: che dal 2 dicembre 2004, il Procuratore della Repubblica di Prato gli aveva affidato, quale Vice Procuratore Onorario, la trattazione dei fascicoli di competenza del Giudice di Pace; che sino al 31 maggio 2006 era stato l'unico VPO incaricato presso il Giudice di Pace di Prato; che per gli anni 2005 e 2006 aveva svolto le sue funzioni delegate ai sensi dell'art. 50 decreto legislativo n. 274/00, fra le quali quelle di provvedere all'archiviazione, esercitare l'azione penale, formulando l'imputazione e provvedendo alla citazione dell'imputato avanti al Giudice di Pace nonche' di verifica dei ricorsi proposti ex art. 21 decreto legislativo n. 274/00, dichiarandoli inammissibili o infondati ovvero formulando l'imputazione e provvedendo alla citazione dell'imputato avanti al Giudice di Pace; che nel 2005 e 2006 per lo svolgimento di tali funzioni aveva svolto attivita' preparatorie l'udienza di citazione dell'imputato per complessivi 107 giorni; che, per i suindicati 107 giorni di attivita', la Cancelleria gli aveva liquidato a titolo di indennita' ex art. 4 d.lgs. 273/89, l'importo di € 10.499,91 oltre IVA e CAP, detraendo la ritenuta d'acconto), per un pagamento totale netto di 10.751,90; che in data 14 novembre 2012 gli era stata notificata, ai sensi dell'art. 187 TU Spese di Giustizia, ingiunzione di pagamento, da parte del Direttore Amministrativo della Procura della Repubblica di Prato con la quale si richiedeva la restituzione di quanto pagato indebitamente all'attore per gli anni 2005 e 2006 al lordo della ritenuta di acconto, pari ad € 12.851,87; che l'ingiunzione veniva giustificata dalla circolare della Direzione Generale del Giustizia Civile, che riteneva che l'art. 3-bis della I. 186/08, recante la nuova disciplina dell'indennita' dovute ai VPO a modificazione dell'art. 4 d.lgs n. 273/89, non prevedendo alcuna disposizione transitoria che disciplinasse l'indennita' dovuta per attivita' svolta fuori udienza dal VPO prima dell'entrata in vigore del citato art. 3-bis, escludeva il diritto all'indennita' per l'anno 2005 e 2006 relativamente all'attivita' svolta fuori udienza dal VPO; che le sue ragioni per contestare la pretesa dell'Amministrazione erano contenute nella Circolare del 21 febbraio 2002 del Ministero di Grazia e Giustizia (confermata da altra del 2006) che individuava tutte le attivita' delegabili ai VPO ed indicava espressamente indica quelle di cui al combinato disposto degli artt. 15, 20, 21, 25 e 50 d.lgs. 274/00 -ossia quelle poste in essere dall'attore quale VPO - e chiariva la ragione che impone il riconoscimento ai VPO del diritto all'indennita' anche nell'ipotesi di attivita' posta in essere fuori dall'udienza superando una interpretazione restrittiva, affermando che era irragionevole la mancata previsione espressa di un diritto al compenso dei VPO per funzioni giudiziarie diverse dalla partecipazione ad udienze, comportando una distinzione priva di obiettiva giustificazione tra attivita' giudiziarie tutte delegabili ai magistrati onorari, delle quali alcune ingenerano il diritto ad un compenso ed altre no, con una disuguaglianza di trattamento tale da dare adito a dubbi di legittimita' costituzionale della normativa vigente, con riferimento sia all'art. 3 che all'art. 36 della Costituzione; che l'incostituzionalita' dell'art. 4 d.lgs. 273/89 interpretato nel senso di escludere l'indennita' per l'attivita' fuori udienza dei VPO imponeva di ricercare una via ermeneutica costituzionalmente orientata; che l'art. 4, comma 2, nella formulazione previgente alla novella del 2008, non aveva mai collegato il diritto all'indennita' dei VPO al concetto letterale di partecipazione all'udienza, prevedendo che "ai vice procuratori onorari spetta un'indennita' di L 150.000 per ogni udienza in relazione alla quale e' conferita la delega"; che l'art. 4, al comma 1, stabiliva che "ai giudici onorari di tribunale spetta un'indennita' di L. 150.000 per ogni udienza" mentre il comma 2 prevedeva che "ai vice procuratori onorari spetta un'indennita' di L. 150.000 per ogni udienza in relazione alla quale e' conferita la delega"; che poiche' sia i giudici onorari che i vice procuratori onorari svolgono la loro attivita' secondo la delega, rispettivamente, del Presidente del Tribunale, e del Procuratore della Repubblica era utile chiarire la differenza di formulazione letterale prevista tra i GOT ed i VPO; che per i primi la norma inequivocabilmente richiamava il concetto di' partecipazione all'udienza, mentre per i VPO la norma disponeva "per ogni udienza in relazione alla quale e' conferita la delega" che, poiche' l'attivita' delegabile al VPO puo' essere sia quella della partecipazione all'udienza sia quella di preparazione dell'udienza (mediante la formulazione dell'imputazione e della citazione a giudizio dell'imputato) il riferirsi della norma all'udienza "in relazione" alla delega consente all'interprete di poter considerare dovuto l'indennizzo sia per l'attivita' prodromica dell'udienza che per quella di partecipazione; che per non rendere inutile la precisazione della norma inerente i soli VPO "per ogni udienza in relazione alla quale e' conferita la delega" anche il principio ermeneutico di conservazione nonche' quello di lettura sistematica delle norme, imponeva di valorizzare la succitata distinzione, attribuendo all'espressione usata un duplice significato, quello dell'attivita' preparatoria l'udienza posta dal VPO e quella della sua partecipazione alla stessa; che l'art. 11 delle Preleggi imponeva di interpretare le norme anche secondo l'intenzione del legislatore, rinvenibile anche a livello sistematico, per cui era ovvio che se il legislatore aveva voluto ampliare le attivita' delegabili ai VPO anche alle attivita' preparatorie dell'udienza era ragionevole interpretare le espressioni letterali della norma nel senso di prevedere l'indennizzo anche per tali attivita'; che dalla medesima norma risultava chiaro che l'espressione "udienza" non aveva niente ha che vedere con la 'seduta' giornaliera del Giudice; che infatti l'art. 4, stabilito che spetta "un'indennita' per ogni udienza", stabilisce, sia per i GOT che per i VPO, che "non possono essere corrisposte piu' di due indennita' al giorno"; che se l'udienza fosse la seduta giornaliera del Giudice poiche' e' prevista un'indennita' per udienza sarebbe possibile solo una indennita'; che poiche' il concetto di "udienza" indicato dalla norma non e' quello della seduta giornaliera del Giudice, era possibile, al fine di offrire una soluzione ermeneutica costituzionalmente orientata, riferirsi al concetto di udienza in modo piu' ampio, quindi anche all'attivita' preparatoria; che una simile interpretazione, risolvendo i problemi di costituzionalita', eviterebbe nel caso de quo una rimessione alla Corte costituzionale che comunque chiedeva in subordine; che gli argomenti usati dalla circolare citata nell'ingiunzione erano infondati e comunque non superavano l'incostituzionalita' rilevata dallo stesso Ministero nella circolare del 2002; che la mancanza di disposizioni transitorie lasciava spazio alla diversa interpretazione, posto che essa avrebbe riguardato il futuro e la mancanza di previsione di irripetibilita' di tali somme avrebbe avuto un senso solo se il legislatore avesse ritenuto che la vecchia formulazione non contemplava le attivita' in questione; che la novella dei 2008 non prevedeva nuove ipotesi di delega e dunque di indennizzo, ma solo un criterio orario di attribuzione della doppia indennita'; che l'aver precisato nel 2008 che sono delegabili ed indennizzabili sia attivita' di udienza che fuori della medesima, non vuole certamente significare che per il legislatore prima del 2008 non erano egualmente indennizzabili; che spesso il legislatore ha disciplinato la medesima materia con novelle che semplicemente chiarivano i dubbi applicativi precedentemente sorti; che i Lavori Parlamentari preparatori della novella confermavano dell'effettivo intento del legislatore che era quello di razionalizzare la disciplina contenuta nel d.lgs. 273/89 a seguito delle nuove competenze attribuibili per delega ai VPO che aveva portato ad una disomogeneita' dei criteri di quantificazione delle indennita'; che era leso un suo diritto quesito ed il suo affidamento nelle corrette interpretazioni offerte dalle circolari succitate del 2002 e dei 2006, dunque della regolarita' dei suoi compensi; che egli aveva accettato di svolgere le funzioni di VPO presso il Giudice di Pace ed in particolare l'attivita' svolta fuori udienza sul presupposto che queste fossero indennizzate come l'attivita' d'udienza; che, nell'ipotesi in cui non si dovesse accogliere la interpretazione proposta, il contratto d'opera professionale intercorso tra l'attore e la Pubblica Amministrazione doveva essere annullato per errore essenziale ex art. 1429, nn. 1 e 4, cc; che, in ipotesi di rigetto delle sue difese sussistevano le condizioni per l'accoglimento della domanda di arricchimento senza causa. Appare assurdo infatti che l'Amministrazione pretenda di far prestare la loro L'attore chiedeva pertanto, in accoglimento dell'opposizione all'ingiunzione, l'accertamento del suo diritto a percepire le indennita' in questione, eventualmente previa remissione alla Corte costituzionale della questione di costituzionalita' dell'art. 4 d.lgs. 273/89, conseguentemente dichiarare non dovute le somme ingiunte all'attore; in ipotesi di rigetto, annullare il contratto sorto fra l'attore ed il Ministero della Giustizia, e conseguentemente condannare il Ministero convenuto al pagamento dell'indennizzo ai sensi dell'art. 2041 e seguenti cc. 2. Il Ministero convenuto resisteva alle domande assumendo: che doveva anzitutto osservarsi che la normativa in esame si inserisca nel settore della finanza pubblica, caratterizzato da delicate scelte di carattere strettamente politico/economico finalizzate al contenimento della spesa pubblica; che in particolare l'art. 4 costituiva il frutto di delicate valutazioni (in relazione all'obbligo di copertura ex art. 81 C. delle singole voci di spesa pubblica) devolute al solo legislatore; che si trattava di scelte, fondate su considerazioni politico-discrezionale che, in quanto tali e ai sensi dell'art. 28 della legge n. 87/1953, non possono neppure costituire oggetto del sindacato della Corte costituzionale, essendo ammissibile il suo intervento nelle forme della pronuncia additiva solo qualora l'addizione si concretizzi in una soluzione interpretativa logica e costituzionalmente obbligata e non siano presenti profili rimessi in via esclusiva alla solo discrezionalita' del Legislatore; che nel caso vi erano innumerevoli ipotesi tutte possibili e legittime la cui valutazione spettava solo al legislatore (per esempio, nella scelta dei criteri di quantificazione dell'indennita' o dell'imposizione di massimi e minimi giornalieri; che una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 3 d.lgs. n. 273/89 che riconoscesse ai vice procuratori onorari l'indennita' per le attivita' svolte fuori udienza era irragionevole e illegittima in quanto, non solo estendeva l'ambito applicativo della disposizione al di la' del chiaro dettato normativo ma addirittura giungeva una soluzione interpretativa inibita anche alla Corte costituzionale; che la stessa conclusione si prospettava in riferimento all'analisi letterale della norma, in quanto il riferimento alla "delega" distingueva tale disposizione da quella relativa ai giudici onorari ma tale differenza non si fondava in un necessario rinvio a tutte le attivita' delegabili e dunque anche a quelle svolte fuori udienza, ma semplicemente sulle diverse modalita' in base alle quali i VPO e i GOT esercitano le proprie funzioni (i primi soggetti ad una specifica disciplina che richiede un provvedimento di delega che legittimi ed individui i limiti del loro operato mentre i secondi hanno funzioni predefinite direttamente dalla legge); che pertanto l'espressione "in relazione alla quale e' conferita delega" precisa che sono oggetto di indennizzo solo quelle attivita' d'udienza svolte in funzione di una specifica delega e non ipotizza un'estensione applicativa delle norma cosi come invece auspicato dal ricorrente; che la giurisprudenza concorde ritiene che le circolari amministrative sono atti che non hanno di per se' valore normativo, che assumono carattere vincolante solo se legittime, potendo essere disapplicate qualora siano contra legem e che non vincolano l'autorita' giudiziaria; che era il provvedimento di liquidazione delle somme a titolo di indennita' a favore dell'attore per le attivita' svolte fuori udienza, in quanto contrario al dettato normativo, ad essere una prassi contra legem che non poteva fondare la sua legittimita' su una circolare amministrativa; che era erronea l'affermazione di controparte che la novella sia dovuta alla volonta' del legislatore di fare chiarezza in merito all'ambito applicativo della normativa previgente attraverso un intervento che ha permesso di far emergere direttamente quello che precedentemente era gia' comunque insito nella disciplina seppur in termini meno espliciti.; che invece il legislatore, attraverso una valutazione di nuovi elementi quali l'aumento negli ultimi anni del carico di lavoro dei magistrati onorari, aveva ritenuto necessario, sulla base di una propria insindacabile discrezionalita', una modifica legislativa del precedente regime dell'indennita'; che tale valutazione, operata su delicati profili di copertura finanziaria, ha imposto un intervento specifico che prevedesse un'estensione dell'indennita' anche alle attivita' fuori udienza e che la portata innovatrice dell'art. 3-bis legge 186/2008 verrebbe vanificata se si attribuisse alla normativa previgente, attraverso un opera ermeneutica, la stessa portata che la riforma ha riconosciuto solo nel 2008; che quanto alla domanda di annullamento per errore del contratto, eccepiva la nullita' della domanda per indeterminatezza della stessa, in relazione all'onere di indicazione in merito alla qualificazione della domanda, non adempiuto, attesa la genericita' dell'espressione "annullamento per errore" e vista la complessa e ramificata disciplina dettata dall'art. 1429 c.c. in ordine ai diversi presupposti di rilevanza previsti per le diverse tipologie di errore ivi considerati; - che la domanda di arricchimento senza causa era improponibile oltre che infondata sia di in relazione ai requisiti strutturali individuati dal dettato normativo sia del principio di sussidiarieta'; che invero l'art. 2041 cc postula l'assenza di una causa che si ponga come giustificazione dell'arricchimento di una parte e della perdita patrimoniale subita dall'altra con la conseguenza che la sussistenza di un contratto valido ed efficace e' la ragione giuridica che fonda e legittima uno spostamento patrimoniale tra le due parti con conseguente improponibilita' dell'azione; che il codice qualifica espressamente in termini di residualita' l'azione di ingiustificato arricchimento con conseguente esperibilita' della stessa solo laddove non vi sia una specifica azione che possa produrre il medesimo effetto di tutela per il depauperato e che nel caso vi e' un rimedio astrattamente esperibile coincidente con quello azionato in via principale dall'attore. 3. L'attore ha chiesto in udienza, in ipotesi di ritenuta nullita' della domanda di annullamento, la concessione di un termine per una "memoria integrativa ex art. 184 c.p.c. per sanare la contestata nullita'". 4. Su tale ultimo punto, preliminare al merito, rileva il giudicante che la richiesta -corretto l'errore nella indicazione dell'articolo del codice di rito che consente la sanatoria della nullita' della citazione, che e' l'art. 164- non e' ammissibile, posto che il rito sommario di cognizione ex art. 702bis cpc non prevede il richiamo a tale disposizione. 5. Ritiene il giudicante rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dall'attore dell'art. 4 d.lgs. 273/89 in relazione all'art. 3 Cost. 5.1. La questione e' certamente rilevante, in quanto nella fattispecie all'attore viene richiesto di restituire quanto percepito proprio in relazione al disposto della norma indicata, interpretata nel senso che non prevede che al VP0 sia dovuta indennita' per l'attivita' extra udienza delegatagli ex artt. 15 e 25 d.lgs 274/2000, incontestatamente svolte. 5.2. La questione non puo' dirsi manifestamente infondata ne' e' possibile l'interpretazione della norma costituzionalmente orientata sostenuta dall'attore. 5.2.1. li testo dell'articolo 4 del Dlgs 28 n. 273/1989 vigente all'epoca, a seguito delle modifiche disposte dall'art. 24 ter della 1. 4/2001 e dall'art. 52, comma 44, della legge n. 448/2001 era il seguente: «1. Ai giudici onorari di tribunale spetta un'indennita' di E. 190.000 per ogni udienza, anche se tenuta in camera di consiglio. Non possono essere corrisposte piu' di due indennita' al giorno. 2. Ai vice procuratori onorari spetta un'indennita' di L 190.000 per ogni udienza in relazione alla quale e' conferita la delega a norma dell'articolo 72 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni. L'indennita' e' corrisposta per intero anche se la delega e' conferita soltanto per uno o per alcuni dei processi trattati nell'udienza. Non possono essere corrisposte piu' di due indennita' al giorno.» 5.2.2. Non pare invero conforme al principio di ragionevolezza sotteso all'art. 3 Costi ritenere che al VPO spetti una indennita' solo per alcune delle attivita' delegategli -e che ovviamente non puo' rifiutarsi di prestare- ed affermare che per le altre non gli spetta alcunche'. 5.2.3. Ne' e' possibile ritenere, come fa l'attore, che la fissazione di un limite di due indennita' al giorno (tanto per i GOT che per i VPO) consenta -sull'assunto che 'udienza' non equivale a 'seduta' perche' altrimenti il GOT non potrebbe per definizione farne piu' di una al giorno- di superare la dizione letterale e ritenere che per i VPO nella nozione di 'udienza' (ai fini del riconoscimento della relativa indennita') possano rientrare le attivita', pure esse delegategli, che non consistono nella partecipazione all'udienza. Invero, a smentire la tesi che, per quanto or ora esposto, 'udienza' non equivale a 'seduta', basta il secondo periodo del comma 2, laddove si fa espresso riferimento ai processi trattati nell'udienza, che dunque, vuoi dire proprio 'seduta'. Il limite, allora, deve essere inteso ad escludere che in un giorno possano aversi piu' di due 'udienze' (conferenti il diritto all'indennita') mediante chiusura dell'udienza (intesa proprio come 'seduta' del giudice) -ad es. al mattino- ed apertura di altra udienza al pomeriggio. 5.2.4. Una interpretazione che ritenesse che anche per le attivita' delegate in questione al VPO spetti l'indennita' prevista per l'udienza non costituirebbe una interpretazione analogica (non essendo per definizione uguali le prestazioni, dell'un tipo e dell'altro). 5.2.4. li richiamo del ministero convenuto all'obbligo di copertura in bilancio di cui all'art. 81 Cost. 'prova troppo', non parendo possibile affermare che il legislatore possa violare norme costituzionali e la Corte costituzionale non possa intervenire in ragione di tale norma. Analogamente, l'assunto del ministero convenuto secondo cui, trattandosi di scelte "fondate su considerazioni politico-discrezionale che, in quanto tali e ai sensi dell'art. 28 della legge n. 87/1953, non possono neppure costituire oggetto del sindacato della Corte costituzionale, essendo ammissibile il suo intervento nelle forme della pronuncia additiva solo qualora l'addizione si concretizzi in una soluzione interpretativa logica e costituzionalmente obbligata e non siano presenti profili rimessi in via esclusiva alla sola discrezionalita' del Legislatore" postula una discrezionalita' del legislatore che possa non tener conto del principio di uguaglianza.